Gianluca Murano

Gianluca Murano
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Architetto. Prima impiegato, ora imprenditore. Intervista a Gianluca Murano.

Intervista di Simona De Ciero

Parole: 914 | Tempo di lettura: 4 minuti

Qual è il tuo mestiere?

 Sono architetto

La tua formazione?

Ho studiato al Politecnico di Torino e alla Escuela Politecnica de Madrid.  

Perché la scelta di aprire, proprio in questo momento storico, un studio tutto tuo?

In realtà non è stata una scelta consapevole: ad un certo punto mi sono trovato nella condizione di lavorare per conto mio. Avevo a disposizione uno spazio e le idee, oltre che la buona volontà mista ad una curiosità naturale insaziabile, e così è iniziata la mia avventura.

 Quando hai aperto il g.m.a. studio?

Ho aperto nel 2010, quando la crisi si respirava nell’aria, ma il mercato, soprattutto immobiliare, non ne subiva ancora concretamente gli effetti negativi.

Avevi paura di metterti in proprio?

Parecchia! Affrontare i primi veri lavori sapendo che a garanzia puoi offrire solo il  tuo nome. La professionalità riconosciuta si costruisce in anni di lavoro e io ero, tutto sommato, ancora molto giovane per  vendermi senza un grosso studio alle spalle che in qualche modo avvallasse le mie competenze. Inoltre  quando hai un’attività, i dubbi e le incertezze si sprecano, e puoi confrontarti solo con te stesso e fidarti del tuo istinto. E cosa non da poco, nella mia famiglia non ci sono architetti da cui poter, in qualche modo, ereditare competenze e trucchi del mestiere.

Come si supera la paura? Come e perché ci si butta?

Con la passione, credendo fermamente che costanza, impegno e una gran dose di pazienza possano fare la differenza; sapendo che nel lavoro, così come nella vita, se hai fiducia i risultati prima o poi arrivano. Se poi non dovessero arrivare, potrai comunque dire di averci provato e di aver avuto la fortuna di nutrirti, seppur per un tempo limitato, di ciò che ti appassiona. Impagabile!

Come si fa a farsi conoscere, crearsi un nome, quando si parte da zero in una professione così complessa e al contempo inflazionata? 

Hai la ricetta? Io no ce l’ho, altrimenti sarei già architetto ricco e famoso. Direi come fai tu, giornalista. Ovvero costruendo, passo dopo passo, e giorno dopo giorno, una serie di contatti che possano aprirti delle porte e offrirti delle possibilità. Scherzi a parte, secondo me sono un insieme di fattori che determinano la stabilità di una professione autonoma: alla base ovviamente  la qualità del tuo lavoro; poi, come dicevo poco fa, creando una rete di contatti che amplifichi la tua visibilità  e la tenacia. In ultimo, è indispensabile sapere fin da subito che i tempi fisiologici per riuscire ad inserirsi in certi settori, come quello architettonico, sono molto lunghi, e perciò bisogna avere pazienza.

Quanto tempo è trascorso dal momento in cui hai deciso di aprire  il g.m.a studio a quando è diventato realtà?

Non moltissimo perché senza che me ne rendessi conto, le condizioni a contorno si sono create da sé. Direi circa sei mesi in tutto. Dopo una veloce e altrettanto attenta valutazione dei rischi, ho fatto la mia scelta. E oggi g.m.a. studio è realtà. 

Come nasce un progetto architettonico? 

Osservo attentamente il sito, lo spazio fisico su cui dover costruire da zero o rigenerare l’esistente, e mi accorgo delle criticità del luogo; molto spesso, per quanto possa sembrare assurdo, è dalle criticità che nasce l’idea di fondo; e per me questa metamorfosi creativa avviene sempre nelle notti successive all’affidamento dell’incarico. A quel punto disegno: i miei progetti nascono su carta, sono schizzi, viste, immagini d’insieme, e quanto più disegno, tanto più si chiarisce l’idea progettuale, fino a diventare chiara e definita nei contorni, come una polaroid appena scattata. Poi ovviamente parte la fase esecutiva e operativa del progetto. 

Hai qualche consiglio da dare a chi medita di mettersi in proprio? 

Di fare esperienza, indispensabile per affrontare con vigore e solidità il mercato del lavoro e la professione, questi sempre più difficili  e instabili.

Se tornassi indietro, lo rifaresti?

Si, ogni volta che guardo il risultato finale del mio lavoro, sia esso una casa, un negozio, un progetto per concorso o un cucchiaio; perchè quando la polaroid che esisteva solo nella mia mente acquisisce la terza dimensione, ecco, allora, io sono felice. E capisco che lo rifarei ogni giorno della mia vita.

Se ce l'hai, dimmi il tuo motto

"Certo che si può fare, non si preoccupi!"

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